A Piante e Animali Perduti 2023 si ripete un rito atavico, da sempre presente nelle nostre campagne e oggi ormai divenuto una rarità con la scomparsa di tante delle attività che si svolgevano nelle case coloniche.
Della pigiatura e del suo modus operandi con la pressione dei piedi di giovani fanciulle Piante e Animali Perduti è testimone dal alcuni anni riproponendo la prima lavorazione degli acini dell’uva vendemmiata. Una trasformazione che avveniva all’interno di un capace contenitore aperto (navàsa in dialetto, in italiano “navaccia”, da “nave” di cui ha grezze sembianze) in cui le ragazze immergevano le gambe tra succo d’uva e graspe dei grappoli spremendo l’informe misto dei due elementi.
Quest’anno, a Piante e Animali Perduti 2023, la testimonianza dal vivo della lavorazione dell’uva appena raccolta si arricchisce di una nuova fase, decisamente rara a vedersi in manifestazioni pubbliche: la torchiatura.
La torchiatura
Si tratta di rappresentare (in piazza Repubblica, sabato e domenica dalle ore 17 in poi) anche la “fase due” ovvero il momento che segue la pigiatura grazie alla quale abbiamo ottenuto ottimo e succoso mosto. Ma non basta perché se il mosto è l’elemento base per produrre il vino è anche vero che nulla deve andare sprecato. Infatti tra graspe e bucce c’è ancora del prezioso nettare da raccogliere. Prima di arrivare alla botte occorre spremere al massimo tutto quanto è rimasto caricandolo in un attrezzo a doghe azionato da un sistema a vite. È il torchio dove, grazie alla forza di robuste braccia che agiscono sul meccanismo di pressione, si ottiene una seconda spremitura, meno abbondante ma ugualmente necessaria. Dopo questo lavoro si potrà passare alla filtratura e alla successiva messa in botte per la fermentazione. E allora il vino avrà solo bisogno di tempo e dell’occhio attento del cantiniere…
Condivisione famigliare
Il passaggio della torchiatura è quindi fondamentale e sulle aie di una volta (o all’ombra dei portici delle case nei campi) era il lavoro dei giovani, i più forti, perché a muovere la leva del torchio ci voleva forza. Era, in buona sostanza, la fase organizzata dai vecchi secondo la loro esperienza ma messa in pratica dai ragazzi ormai grandi e dai più robusti padri di famiglia. Così, mentre le ragazze e i bambini avevano permesso la raccolta del primo mosto con la pigiatura, ora erano chiamati a collaborare all’impresa gli esponenti di una seconda fascia di età, e solo maschi. Tutti, insomma, collaboravano al risultato finale.
Scarti? No, risorse!
Ma, fatto anche questo, cosa restava del raccolto della vendemmia? C’erano gli scarti. Infatti, il malloppo di bucce, graspe, vinaccioli dopo la torchiatura era diventato un blocco compatto. Roba da buttare, quindi? No, in campagna anche dell’uva non si buttava via niente e il materiale misto e pressato che restava aveva la forma di una mattonella detta “pannello” (in dialetto panèl), facilmente trasportabile per la sua forma e la sua compattezza.
Cosa farne? Bollendola in un’apposita caldaia collegata a un alambicco se ne ricavava la grappa e non solo per un consumo famigliare. La disponibilità di questi resti della torchiatura alimentava un commercio per cui li si vendeva anche a persone che li raccoglievano per conto dei produttori di acquavite.
Va considerato che, per le sue componenti, era un prodotto comunque sostanzioso anche se di scarto. Allora veniva utilizzato per l’alimentazione animale, sia per i maiali che per le vacche: ideale per ridare vigore alle vacche che avevano partorito.
Ma era utile anche per altro: le mattonelle ben essiccate erano adatte per la combustione nelle stufe garantendo la fiamma per lungo tempo: perfette per gli inverni risultando materiale alternativo alla legna e a costo zero se prodotto in casa. Era talmente valido come combustibile alternativo che nacquero diversi produttori specializzati nella lavorazione di questo prodotto, reso molto compatto, finemente sminuzzato e venduto in piccole mattonelle della misura giusta per la stufa a legna. Ai nostri giorni anche questa industria è ridotta a poca cosa rispetto al fiorente passato.
Economia circolare di una volta
Si fa presto oggi a parlare di economia circolare: nel mondo delle campagne una corretta e plurisecolare tradizione nella gestione dell’uva ha prodotto una vera economia del riutilizzo completo per cui dal prodotto principale si arrivava a quello finale con vari passaggi, tutti fruttuosi e virtuosi, del tutto ecologici.
A Piante e Animali Perduti 2023 si rivivrà questa antica usanza di trasformare l’uva prima in mosto con la pigiatura all’antica e poi in materiale riutilizzabile al 100% con la torchiatura. Non sarà quindi soltanto un bellissimo spettacolo della durata di un’ora ma anche un momento di informazione per bambini e adulti con la possibilità di portarsi a casa un po’ di mosto per fare il sugo d’uva (munirsi di contenitori propri!) e per apprendere la saggia arte dei contadini che dei regali della natura e del loro lavoro facevano tesoro in modo intelligente e rispettoso dell’ambiente.